Federico Francioni attraversa l'Europa per intervistare Eugene Green

Francioni è allievo del corso di Regia del CSC dell’Aquila.

Pubblichiamo un'intervista a Federico Francioni, giovanissimo regista allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia dell'Aquila, insieme al quale abbiamo appena deciso di sviluppare una produzione editoriale, multimediale e multilingua.

Qualche tempo Federico Francioni ci parlò della sua intenzione di realizzare interviste ad autori di cinema tanto validi quanto invisibili e trascurati dai media. L’iniziativa di Francioni si sposava perfettamente con il nostro progetto. Dopo brevi consultazioni l'idea ha preso corpo intorno alla figura di Eugene Green. Con grande determinazione Federico ha organizzato una trasferta a Parigi per realizzare l'intervista video che sarà alla base delle successive pubblicazioni in vod, libro stampato e in ebook. Ho pensato che sarebbe stato interessante parlare con Federico per sapere qualcosa di più preciso sulle sue motivazioni, anche alla luce del fatto che questa nuova produzione Artdigiland inaugura il nostro CONTENT LAB.  


Vorrei che tu mi raccontassi dall’inizio com’è nata l’intervista a Eugene Green, questa tua coraggiosa scelta di andare a Parigi per intervistarlo.

Tutto è nato perché conoscevo l'opera di Green.

Puoi dirmi com’è nato questo interesse  per Green, come l’hai individuato… conosciuto come autore?

Ci sono incappato per caso, perché amo molto il fado e la musica portoghese. Cercando un brano di Aldina Duarte ho visto che lei era presente anche nel film di Green La Religieuse Portuguaise. Nel frattempo, come coincidenza parallela, avevo da poco scoperto un ensemble barocco molto interessante, Le Poeme Harmonique, pubblicato da una casa discografica francese, Alpha, che fa delle meravigliose edizioni di musica antica. Quando mi sono procurato tutti i film di Green dopo aver visto il frammento di fado de La Religieuse P., ho notato che nei suoi primi film (nel primo in particolare, Toutes les nuits), questo regista utilizzava questo ensemble come colonna sonora, e come parte del racconto nel film Le Pont des Arts. Inoltre ho scoperto che da anni collaborava con questo ensemble per la riscoperta del patrimonio barocco ed antico, e che aveva prestato la sua voce per un paio di dischi, come lettore (perché prima di fare cinema ha fatto teatro per molti anni). Tutto era molto interessante, la sensazione era che l’europa fosse una grande rete, con le sue identità, diverse ma in costante dialogo tra loro e che portano sempre a nuove scoperte e nuovi "meticciati” … In questo modo  ho scoperto Green. Successivamente all’incontro con SIlvia Tarquini ho contattato la casa di produzione (La Sarraz), è stato abbastanza semplice.

Ma come avevi visto i suoi film?
I film me li sono procurati per conto mio. In Francia sono usciti i dvd. Tra l'altro Green ha scritto un libro molto interessante, una sorta di manifesto, che si chiama Poetique du Cinematographe, pubblicato in Francia e riferimento per alcuni giovani che stanno uscendo adesso dalle scuole di cinema.

Quanto tempo fa hai visto i suoi film?
Credo un anno fa. Più o meno nel dicembre 2012. Ho visto i suoi film, ho letto il libro... Poi ho iniziato a pensare che sarebbe stato bello incontrarlo. In vista dell'intervista li ho rivisti tutti e adesso li conosco quasi a memoria!

Come ha reagito Green alla proposta dell’intervista?
Ne è stato contento e poi è stato molto disponibile e accogliente. Gli abbiamo portato come regalo il libro dedicato a Marc Scialom e lui si è detto onorato di essere pubblicato nella stessa collana.

E quale è stata la motivazione personale per la quale hai voluto fargli un‘intervista?
Beh, trovo che sia una figura emblematica del cinema d'autore europeo contemporaneo. Spesso ci si dimentica che il cinema è un organismo vivo, che prende sempre nuove direzioni. Credo che la figura di Green sia importante per questo. E' un testimone particolare, ed è portatore di una visione del mondo personale: la base del cinema d'autore.

Se dovessi dare una ragione per la quale a tuo parere vale la pena di conoscere l’opera di Green quale sarebbe questa ragione?
Credo che il suo cinema sia un cinema apparentemente difficile, che però può dare molto a chi guarda. Non è un cinema intellettuale, ma si concentra su una spiritualità sempre più rara nel cinema. Possiede una sua poetica ed ha un modo unico di raccontare le sue storie, mescolando elementi spirituali con una grande ironia. Se lo si segue fino in fondo, e ci si abbandona al film, è un cinema che offre molte risposte… E direi che questo non è poco! E lo fa senza la pretesa di farlo, ma attraverso il desiderio di offrire spontaneamente allo spettatore uno sguardo sul mondo. C’è una grande umanità, nonostante una apparente "freddezza".

E qual è l’estetica dei film di Green?
La sua ricerca estetica è molto esigente. I suoi film, visivamente, possono essere avvicinati in parte al cinema di Robert Bresson. C'è spesso una fissità "pittorica". Poi, essendo un autodidatta ed essendo arrivato al cinema molto tardi, verso i 50 anni, ci sono alcune figure retoriche ricorrenti che stravolgono completamente le "buone norme" correnti. Un esempio sono i continui campi/controcampi su ogni battuta del dialogo: frontali e simmetrici. Oppure ci sono spesso delle inquadrature dei piedi, delle inquadrature da terra; e spesso i personaggi abbandonano il quadro lasciandolo vuoto. Eugene parla spesso di "presenza reale" nel suo cinema. Cioè della possibilità di catturare, attraverso la pellicola, l'energia stessa della luce, che ha una sua energia specifica. E' un perfezionista dell'immagine: lascia fuori tutto quello che non gli interessa. La cosa più stupefacente è il modo in cui racconta le città. Nei suoi film Parigi sembra deserta, è ridotta all'essenziale. Nel Pont des Arts il ponte ha un ruolo molto importante, ed è ripreso completamente vuoto, con solo i due protagonisti. Al momento, invece, credo sia strapieno di turisti e lucchetti. Gli interessa raccontare quello che è nascosto nella realtà. Quindi la “verità” - o Dio -, rifacendosi alla filosofia giansenista del periodo barocco, a lui molto cara.

Quello che non mi è ancora veramente chiaro è perché interessava a te. Decidere di andare a fare un’intervista a Parigi ad un autore semi-sconosciuto significa che per te c’è qualcosa di molto trascinante nei film di questo regista.
Da spettatore, e da aspirante regista, mi sento un po' un "rabdomante" che scava ovunque per trovare qualcosa e mi è capitato di trovare Green, che è un autore molto nascosto, in Italia è praticamente sconosciuto. Il festival di Torino gli ha dedicato una retrospettiva qualche anno fa, ma per il resto è veramente un invisibile. Invece credo che lui sia una delle figure maggiormente emblematiche del cinema europeo contemporaneo. E’ un Americano che ha rigettato le sue origini per abbracciare la storia e la cultura di un altro continente, fino al punto di costruirsi un'altra identità. La mia idea era quella di fare un documentario su di lui, un po' come un episodio di "Cineastes de notre temps". Fino a qualche anno fa il cinema europeo era una comunità di persone nella quale avvenivano scambi, e capitava che dei giovani registi volessero documentare l'opera di autori più anziani. Non voglio fare paragoni, però ad esempio i giovani turchi dei Cahiers (Truffaut e Rivette, in quel caso), negli anni ’60 fecero un documentario su Renoir, e così via... Sento la necessità di dare voce, e di interpretare gli autori di questo nostro tempo, che sembra così sfuggente e privo di riferimenti. E per me  il cinema di Eugene è molto trascinante per i temi che tratta e per il linguaggio che utilizza. E' un cinema che non scende a compromessi, ma, allo stesso tempo, si pone alla pari di chi guarda. Un cinema umanista, che è profondamente legato alle nostre radici europee e alla nostra identità. Mi sembrava tutto molto interessante per fare un ritratto. Mi ha anche colpito il fatto che lui è un Americano (chiama l'America la Barbarie), ma ha passato tutta la vita ad andare controcorrente (rispetto all'America, rispetto alla francia ‘68)... Rappresenta una minoranza, che a mio parere va tutelata.

Mi puoi raccontare brevemente in che modo si è concretizzata la possibilità di realizzare l’intervista?
Sì, ho incontrato Silvia Tarquini a L'Aquila, per la presentazione del libro intervista a Luca Bigazzi. L’avevo già incontrata in precedenza, quando ha presentato il suo libro dedicato a Marc Scialom. Proprio a proposito di Scialom, le avevo detto che secondo me c'erano molti altri autori nascosti che andavano portati alla luce. E da qui è nato tutto. Io avevo la volontà di incontrare Green, ma avendo la possibilità di realizzare un libro, come mi ha offerto Silvia, o comunque un progetto editoriale, la cosa è diventata più concreta.

In quanti siete andati a Parigi?    
Siamo andati in quattro, mi hanno accompagnato tre compagni del Centro Sperimentale. Alla fine, visto che c'era il 1° maggio di mezzo, è stata anche l'occasione per una mezza vacanza (altrimenti non sarebbero venuti). Il primo incontro l'abbiamo fatto a casa di Green. Lì eravamo solo in due della troupe.

Con quante camere avete fatto le riprese e  quant’è durata l’intervista?
Abbiamo fatto le riprese con due camere, e l'intervista è durata circa due ore. Poi abbiamo filmato anche altri incontri, nei giorni successivi. In totale credo di aver raccolto tre o quattro ore di materiale, molto. Anche perché, come ho detto prima, la mia idea iniziale era di fare un documentario su di lui, un ritratto. Quindi questo materiale potrebbe essere molto prezioso come base.

Mi puoi dire come hai strutturato l’intervista?
Abbiamo affrontato diversi temi, dalla sua biografia alla sua poetica, fino a parlare delle condizioni del cinema contemporaneo. Abbiamo fatto anche un’ultima sessione con lui e un altro ragazzo che sta per fare il suo primo film, è stato interessante aprire anche ad un altro punto di vista. Sì, perché Eugene mi ha messo in contatto con alcuni giovani registi che aveva conosciuto durante dei laboratori (alla Femis, o in altre scuole parigine). Ho parlato con un paio di loro a proposito del cinema europeo.

Silvia ti aveva dato dei riferimenti su come fare l’intervista?
Silvia non mi ha dato dei riferimenti precisi rispetto all’approccio con Green, ma mi ha dato dei consigli di ordine generale, e avevo come modello il libro su Bigazzi. Mi ha detto che secondo la vostra esperienza nel realizzare dei libri intervista il problema di fondo è quello di conciliare il naturale ordine cronologico del discorso con le considerazioni di ordine più generale. Bisogna essere capaci di passare da un ordine all’altro e nello stesso tempo di seguire una struttura. Quindi mi ha consigliato di riflettere molto sulla macrostruttura dell’intervista, di prepararmi bene anche in questo senso, per non trovarmi poi a non sapere come gestire le sessioni dell’intervista. Sulla base di questo ho preparato un percorso personale.


E sei soddisfatto di com’è venuta?
L'intervista secondo me è andata molto bene.

E’ stata realizzata in francese?
Sì, abbiamo parlato sempre in francese. Adesso la sto sbobinando in francese e prepareremo i sottotitoli in italiano per il video.  

Silvia ti ha mai parlato del Content Lab di Artdigiland?
No... Non credo… Non in questi termini, almeno… Che intendi per Content Lab?

Si tratta della possibilità di proporre produzioni e partecipare alla produzione di progetti editoriali Artdigiland. In maniera pubblica e condivisa su un board digitale online. Quindi credo di poter dire che tu sei il primo “artdigilander” ad avere sviluppato un progetto editoriale seguendo la filosofia del Content Lab, se pur in una sua versione pre-beta, diciamo...
Bene! Sono contento. Mi sembra un'ottima filosofia.

Sul Content Lab ci sarà un board pubblico dove poter vedere i progetti in corso, proporrne di nuovi e/o contribuire ai progetti di altri. E’ un modo per far diventare “social”, diciamo, la comunicazione culturale, più aperta, con più possibilità di scambio, di collaborazioni e di produzioni.
Ma nel Content Lab voi selezionate e valutate le proposte?

Sì, esatto, noi selezioniamo e coordiniamo il board. Saranno i partecipanti a proporre i progetti, noi coadiuviamo il loro lavoro nella ricerca di potenziali collaboratori, accademici, artisti, ma anche redattori, grafici, che possano essere interessati a collaborare su progetti specifici. Quando le coordinate del progetto diventano più chiare allora vengono definiti anche gli aspetti contrattuali.  Tu come vorresti che fosse l’edizione che nascerà da questa videointervista?
Non saprei risponderti al momento, è una prateria sconfinata... Però credo che il modello del volume Scialom funzionasse bene. L'idea di avere delle note critiche, un'intervista, e dei materiali d'appendice mi sembra completa. In questo caso ho pensato che ci sarebbe la possibilità di avere degli interventi da parte di questi giovani registi che ho conosciuto, una loro visione del personaggio, che potrebbero arricchire il libro e dare una nuova prospettiva, specialmente per i giovani autori, ovunque siano. Non so se ho risposto… Inoltre Silvia ha proposto di inserire in appendice il manifesto cinematografico di Green, che quindi verrà tradotto e pubblicato per la prima volta nell’edizione italiana del libro, fornendo quindi ai lettori un importante documento.

Federico ti ringrazio per la tua disponibilità.

Intervista a Federico Francioni; a cura di: Gian Tapinassi, Artdigiland; editing: Letizia Rossi; L’intervista è stata realizzata in chat testuale il 13 maggio 2014

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